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La chiesa di San Pietro a Majella, eretta tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV, costituisce, nonostante le modeste dimensioni, un episodio interessante per la sua aderenza a quelli che furono i caratteri peculiari dell’architettura religiosa di epoca angioina. Sorta per iniziativa di Giovanni Pipino di Barletta, cavaliere e Maestro Razionale della curia ai tempi di carlo II d’Angiò, la chiesa fu dedicata a quel Pietro Angeleri di Morrone, eremita della Maiella, salito al pontificato nel 1294 col nome di Celestino V e canonizzato poi nel 1313. Alla realizzazione del complesso religioso, che comprendeva anche un convento per i frati dell’ordine dei Celestini, fondato dallo stesso eremita, contribuì a partire dal 1314 con cospicue donazioni la stessa famiglia reale angioina alla quale la chiesa fu molto cara. La notizia di un pellegrinaggio effettuatovi nel 1343 da Andrea di Ungheria, marito della regina Giovanna, fa dedurre che a quell’epoca la fabbrica fosse ultimata. La chiesa primitiva era più piccola di quella attuale e precisamente terminava alla terza cappella laterale, la facciata cioè era allineata al campanile, mentre era preceduta da un atrio con ingresso situato presso la porta cittadina denominata Porta Donnorso. La corte fu inglobata nel successivo ampliamento iniziato nel 1493 e terminato nel 1508. Tale ampliamento si era reso necessario quando l’altra comunità di Celestini esistente in Napoli aveva ceduto il suo convento di Santa caterina a formiello alle suore del monastero della Maddalena per trasrerirsi presso i confratelli di San Pietro a maiella, formando con essi un’unica comunità. La chiesa fu prolungata con l’aggiunta di due cappelle per lato. Pare che sia stata anche rifatta la navata centrale rispettando tuttavia le linnee della primitiva architettura caratterizzata da una interpretazione tipicamente locale del gotico francese, tendente ad una maggiore semplicità ed una più chiara leggibilità degli spazi e dei rapporti tra le singole parti. A tal proposito va notata l’assenza di coperture a volta sulla navata centrale e sul transetto, caratteristica che ritroviamo d’altronde in quasi tutte le chiese angioine napoletane. Il diverso tipo di copertura tra la navata centrale e quelle laterali determinò la forma singolare del pilastro: piatto nella faccia rivolta alla navata principale; con semicolonna addossata verso le navate minori per consentire il raccordo con i costoloni delle volte. I pilastri che fiancheggiano le cappelle sono invece caratterizzate dall’insolito cromatismo dovuto all’alternarsi dei conci di tufo e dei filari di mattoni. L’impianto della chiesa denuncia l’aderenza ai canoni dell’iconografia cistercense in particolar modo nella parte terminale: con l’abside a pianta rettangolare con crociera costolonata e monofora ogivale, fiancheggiata da due cappelle per lato. Degli affreschi che probabilmente coprivano tutte le pareti della chiesa primitiva rimangono oggi pochi esempi, interessanti testimonianze di quel filone della pittura napoletana trecentesca determinatosi dopo la venuta di Simone martini e Giotto. Da esso discende: il ciclo di affreschi delle “Storie della Maddalena” nella seconda cappella a sinistra del presbiterio, attribuito al Primno e secondo Maestro della Bible Moralisée ed aiuti, e giudicato anteriore al 1354; la “Madonna del Soccorso”, sul pilastro tra la prima e la seconda cappella, che benché fatto risalire ai primi del ‘400, sembra derivare per il tipo di iconografie dalle Modonne di Simonme Martini. Sulle pareti della seconda cappella a destra del presbiterio si svolge infine un altro ciclo di affreschi con “Storie di San Martino” del Maestro della Cappella Leonessa (1355-60). Ancora alla chiesa primitiva risale il bel pavimento quattrocentesco a mattonelle smaltate della prima cappella a sinistra del presbiterio. Durante i lavori di ampliamento iniziati alla fine del XV secolo il rispetto delle linee gotiche non impedì l’inserimento di elementi di gusto prettamente rinascimentale come il bel portale (1508) che dal transetto conduce nel chiostro, ornato con colonne scalanate ed intagli naturalistici. Al 1600 risale invece il grande portale d’ingresso della chiesa, realizzato dalla principessa di Conca Giovanna Zunica per adempiere ad un voto, e che rivela le tipiche forme del barocco napoletano. L’interno del tempio fu arricchito alla metà del ‘500 dal bel coro ligneo intarsiato e nel 1645 dall’altare maggiore in marmi policromi tarsie di pietre dure, realizzato dai carraresi Bartolomeo e Pietro Ghetti. La balaustra dell’altare è stata invece attribuita a Cosimo Fanzago. A partire dal XVII secolo la chiesa subì una serie di interventi che finirono per alterarne completamente la fisionomia. Il primo si ebbe tra il 1651 ed il 1667 e fu un rifacimento barocco che rivestì l’interno di stucchi, ridusse a quadrate le finestre ogivali e sostituì l’antico soffitto a capriate lignee dipinte con l’attuale a cassettoni dorati ornato dalle tele di Mattia Preti. Il soffitto, che rimane uno dei più rappresentativi esempi della pittura italiana del ‘600, presenta sulla navata, in una alternanza di pannelli rotondi e rettangolari, “Storie della vita di Celestino”, mentre in corrispondenza del transetto i pannelli rappresentano “Episodi relativi alla vita di Santa Caterina d’Alessandria”. Nel 1715 un nuovo intervento, diretto dall’architetto Francesco saracino, aggiunse all’interno altre volute e stucchi. Il restauro condotto poi nel 1836 da Alessandro Celentano, con la completa imbiancatura delle pareti distrusse quasi tutti gli ultimi affreschi trecenteschi. La chiesa doveva poi subire nel 1870 ancora un altro vandalico restauro, fortunatamente interrotto. Finalmente agli inizi del nostro secolo, su progetto di Gerardo Rega, si iniziarono i lavori, compiuti solo nel 1927, per riportare alla luce la struttura angioina. Se gli interventi effettuati sulla primitiva architettura sono stati quasi totalmente rimossi dai restauri, la chiesa conserva ancora le numerose opere d’arte di cui si è arricchita nel tempo: tra gli autori maggiori si possono elencare nomi quali Giovanni da Nola, Massimo Stanzione, Francesco De Mura. sul fianco sinistro della chiesa si erge il bel campanile a pianta quadrata terminante, al di sopra dei quattro ordini scanditi dai massicci tori marcapiano, con una cella campanaria ottagona. Il portale che si apre nel basamento, benché concluso da arco arcuto, non presentando caratteri gotici è stato datato agli inizi del Quattrocento.
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