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Indagare la storia della prostituazione a Napoli attraverso uno spettacolo teatrale itinerante: NarteA alza il sipario con “Meretrices – Tra le pieghe dell’ipocrisia” al Club 55 di via Toledo. Non esistono doveri morali se non come vuoti termini coniati dalla società. Nel 1956 veniva pubblicato un pamphlet polemico intitolato “Addio, Wanda!” a firma di Indro Montanelli che si schierava contro la Merlin a riguardo della legge per la chiusura dei bordelli. Per il giornalista, l’abolizione delle case chiuse avrebbe rappresentato la fine dei tre fondamentali puntelli italiani: la Fede, la Patria e la Famiglia.
A distanza di 60 anni, questo argomento risulta ancora controverso e fanno riflettere le parole di Benedetto Croce, secondo cui “eliminando le case chiuse non si distruggerebbe il male che rappresentano, ma si distruggerebbe il bene con il quale è contenuto, accerchiato e attenuato quel male”. Dal 1948 ad oggi, dunque, le “case chiuse” restano una tematica su cui l’opinione comune si divide, ma com’era la vita di queste veneri vaganti dell’epoca?
Sabato 16 gennaio 2016 (dalle ore 19:00 con più repliche) al Club 55 di via Toledo l’Associazione Culturale NarteA porta in scena “Meretrices – Tra le pieghe dell’ipocrisia”, uno spettacolo teatrale itinerante che, seguendo le impronte del tempo, indaga la storia del mestiere più antico del mondo per svelare pagine di storie occultate.
Testi e regia di Febo Quercia, con Marianita Carfora, Annalisa Direttore, Simona Esposito e Peppe Romano, le musiche del Maestro Biagio Terracciano e con i costumi di Antonietta Rendina.
Negli anni ‘50 Napoli contava circa 900 case di piacere: tra le umili lupanare dei Quartieri Spagnoli ai bordelli lussuosi di via Toledo non si trovavano solo donne di postriboli o meretrici tesserate, ma le storie di Napoli: “perché la storia di un popolo passa anche attraverso le lenzuola stropicciate di alcuni letti”. Prima della Merlin, nel 1860, il governo Cavour pubblicò un regolamento sulla prostituzione che fu esteso a tutte le province annesse al Regno. Emanato per prevenire la riacutizzazione della sifilide nell’esercito piemontese in guerra, questa norma non fu applicata solo a scopi sanitari. Tale regolamento rappresentava infatti uno strumento di controllo sulle donne da parte della società. In particolare, si autorizzava l’apertura di postriboli di Stato divisi in categorie, tassando il meretricio con imposte da versare nelle casse statali. Mille ruffiani aprirono, in pratica, i cancelli dell’ “Apocalisse”, nascondendosi tra le pieghe dell’ipocrisia.
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