San Pietro Martire

Ritornati sul corso Umberto I lo si percorre verso piazza Bovio incontrando a sinistra nella piazza Ruggero Bonghi la facciata della chiesa di San Pietro Martire. Carlo II d’Angiò, volendo donare ai frati Predicatori domenicani, a cui già nel 1231 era stata affidata l’antica chiesa di San Michele a Morfisa, una nuova “basilica”, diede incarico di far costruire la Chiesa ed il Convento dedicati a San Pietro Martire, i cui lavori ebbero inizio nel 1294. I1 luogo dove fu fondato il complesso era detto della “calcaria” perché nella zona, allora ricca di vicoli ed assai vicina al mare, vi era una gran quantità di fornaci per la calce. Quest’area appare oggi molto diversa da quella che doveva essere allora, trasformata completamente dall’opera del risanamento nel secolo che ci ha preceduti. La costruzione del piccolo convento, che inizialmente avrebbe dovuto ospitare solo tredici monaci, fu ultimata velocemente. La chiesa, invece, fu completata molti anni dopo sia per cause tecniche, quali la mancanza iniziale di materiale, sia perché non tutti i re che seguirono a Carlo II avevano l’identico interesse di portare a compimento l’opera. Fu così infatti per re Roberto successo al padre nel 1309, mentre Giovanna I incrementò notevolmente i lavori della chiesa:non prima del 1343 furono terminate la tribuna e la cupola a spese di Cristoforo di Costanzo gran siniscalco e cavaliere del nodo, il cui sepolcro, è collocato ancora oggi in San Pietro Martire; nello stesso periodo fu eseguita la porta principale grazie alla donazione di Giacomo Capano, cavaliere e maestro razionale di re Roberto. Sotto Alfonso I d’Aragona, ma soprattutto sotto il regno di Ferdinando I ed ancora con Isabella Chiaramonte, sua moglie, l’edifìcio si arricchì di notevoli monumenti ed opere d’arte. Isabella, fedele a San Vincenzo Ferreri, morì nel 1465 e volle essere sepolta proprio nella cappella che ella fece dedicare al santo a cui era tanto legata. Va detto che la chiesa in epoca angioina ed aragonese appariva anche planimetricamente molto diversa da come appare oggi. Tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500 il numero dei frati che dimoravano nel convento crebbe notevolmente e tutto il complesso, dunque, si arricchì e si trasformò grazie a donazioni e lasciti da parte di ricchi devoti tra i quali non va dimenticato Giovanni Cafatino che devolse, nel 1540, una cospicua eredità a San Pietro Martire. Nel 1557 fu costruito il chiostro del convento. L’aspetto rinascimentale del tempio fu tuttavia completamente stravolto dai lavori di ristrutturazione avvenuti nella prima metà del XVII secolo ad opera di Fra Nuvolo. Già nel 1632 fu rifatta la porta d’ingresso della chiesa ed un anno dopo fu creata la piazzetta antistante l’edifìcio, così come oggi la vediamo; fu arricchito l’altare maggiore e nel 1655 si costruì il campanile su disegno di F. A. Picchiarti. L’aspetto tardo settecentesco, che ancor oggi caratterizza l’interno dell’edificio, tuttavia fu dovuto a nuovi lavori di ristrutturazione avvenuti dopo il 1755, sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Astarita che si avvalse dello stuccatore Giuseppe Scarola per ricoprire interamente la navata e la crociera con stucchi monocromi di gusto marcatamente rococò. Durante il decennio francese il convento, così come quasi tutti i conventi e monasteri napoletani, venne soppresso ed ai padri domenicani furono lasciati unicamente il Chiostro grande, perso poi nel 1864, e la chiesa. L’ultimo conflitto non risparmiò l’edifìcio, danneggiato notevolmente e restaurato nel 1953. Il convento che nel frattempo era stato adibito a fabbrica di tabacco, è oggi sede dell’Università. Dallo slargo davanti la chiesa, dunque, si accede al tempio, attraverso il portale seicentesco che sostituì l’antica porta ad ogiva del 1347 fatta erigere da Giacomo Capano. Esso è sovrastato dallo stemma angioino oltre che da un piccolo stemma marmoreo col simbolo dell’ordine domenicano. L’interno, a croce latina, presenta oggi dodici cappelle laterali aperte sull’unica navata e due grandi cappelloni all’altezza del transetto. La prima cappella a sinistra dell’ingresso è dedicata a San Giuseppe così come ci suggeriscono i due tondi, dipinti da Salvatore Pace alla fine del XVII secolo, raffiguranti II sogno di Giuseppe e Lo sposalizio della Vergine, ed era, un tempo, dei marchesi di Casaleggio dei quali parla una lapide ancora oggi visibile sul pavimento. Nella cappella attigua, dedicata a San Gennaro, originariamente di proprietà dei Mormile, invece, sull’altare settecentesco è conservato il dipinto raffigurante San Gennaro portato in cielo dagli angeli, eseguito nel 1600 da G. Marullo, pittore di Orta di Atella. La cappella successiva è forse una delle più significative della chiesa. E’ dedicata a San Vincenzo Ferrer ed in essa era collocata la cona, oggi conservata in locali attigui alla chiesa, raffigurante, al centro San Vincenzo ed ai lati 11 riquadri con Storie del Santo e l’ Annunciazione che è di autore più tardo. In basso, al centro, appare Isabella di Chiaromonte, moglie di re Ferrante (molto devota al Santo), in preghiera assieme ai figli Alfonso ed Eleonora nella cappella reale.L’opera, di enorme interesse storico artistico, è databile intorno al 1460 e fu attribuita da Pietro Summonte ad uno dei più importanti esponenti della pittura della Napoli aragonese: Colantonio. Nella cappella si conservano anche alcuni monumenti sepolcrali appartenenti alla famiglia Pagano tra cui quello di Galeotto, morto nel 1420, che fu maggiordomo di re Roberto, consigliere di Luigi d’Angiò, marito di Giovanna I, castellano di Maratea e S. Elmo oltre che maresciallo del Regno. Ed ancora quello di Tommaso Pagano, prefetto di cavalli di Ferdinando d’Aragona, morto nel 1480. Dedicata un tempo a San Domenico, oggi consacrata ai Santi Martiri e a Santa Lucia, è la quarta cappella ove si conserva il Sepolcro di Paolo e Giovanni Cafatino,nobili del seggio di Portanova, il secondo dei quali fu munifico elargitore nei confronti del tempio domenicano di grandi ricchezze. Il monumento, eretto nel 1541, composto da un sarcofago su cui giace la figura di Paolo vestito da ecclesiastico, è stato recentemente attribuito ad uno degli scultori attivi agli inizi del XVI secolo nella chiesa di Monteoliveto: Antonino De Marco o Bernardino Palma. Sull’altare, ed oggi in deposito, era la tela del Solimena raffigurante La Vergine col bambino tra un Santo guerriero, Santa Lucia ed un Santo domenicano, documentata al 1705. Si passa ora alla quinta cappella a cui si accede attraverso una balaustra in marmi commessi, a differenza di quelle delle cappelle fin qui esaminate e di epoca tardo settecentesca, risale al XVII secolo e fu eseguita, su disegno del noto architetto D. Lazzari, tra il 1640 e il 1653. La cappella è dedicata alla Vergine così come viene confermato dal dipinto sull’altare, di ignoto seguace del Sellitto, raffigurante la Madonna delle Grazie ed una devota. Ai lati, invece sono La visitazione e L’Annunciazione, eseguite da Solimena. La cappella che stiamo visitando era un tempo di proprietà della famiglia Macedonio i cui rappresentanti ricoprirono importanti cariche nel periodo Aragonese, così come ci suggeriscono i monumenti sepolcrali che in essa si conservano. – alla parete sinistra, è la tomba di Pietro Macedonio, morto nel 1437, vestito da guerriero, con le braccia incrociate sul petto. Egli fu, tra l’altro, governatore degli Abruzzi, maresciallo del Regno ed ambasciatore, sotto re Ladislao, in Cipro ed in Armenia. In alto, a destra, è una lapide che ricorda Alessandro morto nel 1777. Di fronte è, invece, la lastra tombale di Antonino e Padovano del 1516-. La cappella successiva, dedicata a Santa Caterina da Siena, era un tempo dei d’Alessandro anch’essa, in epoca Aragonese, importante famiglia napoletana. Sulla parete destra è il monumento sepolcrale di Iacovaccio d’Alessandro, barone di Cardito,cacciatore e falconiere di Ferdinando I d’Aragona, fatto erigere dal figlio Roberto nel 1492 e composto da un sarcofago finemente decorato con “grottesche” su cui giace il defunto a figura intera. Sull’altare, in marmi policromi e stucchi, è un Crocifìsso in legno attribuito alla bottega di Giovanni da Nola, noto scultore napoletano del XVI secolo. All’altezza della settima cappella si apre un vano il cui frontespizio, in pietra grigia, che si ripete identico anche per il vano di fronte, conserva il linguaggio architettonico originale del XVI secolo. L’ampia crociera è caratterizzata da due grandi cappelloni di cui quello di sinistra è consacrato a San Domenico, così come si evince dal San Domenico che dispensa i rosari, bel dipinto dell’ Azzolino, databile, secondo recenti studi fra il 1609 ed il 1612. Nella tela si sono voluti intravedere i ritratti del pittore e del viceré dell’epoca. All’altare maggiore si accede tramite alcuni scalini ed attraverso una balaustra eseguita nel 1640-43 su disegno di D. Lazzari a cui è anche attribuibile, probabilmente, il disegno originario dell’altare e dei sedili laterali, decorati in alto dalle sculture raffiguranti San Pietro Martire, a sinistra, e San Giacinto, a destra. Il coro, decorato da stalli lignei intagliati ed eseguiti da Giuseppe d’Ambrosio nel 1758, è decorato da pitture di Giacinto Diano. Esse raffigurano, al centro della volta e ad affresco, II miracolo dell’immagine di San Domenico Soriano, alle pareti laterali, a sinistra II trionfo della dottrina di San Tommaso, a destra Santa Caterina invoca il ritorno della Santa Sede a Roma, eseguite ad olio su tela. Sulla parete di fondo Sebastiano Conca datava nel 1750 il dipinto raffigurante San Pietro Martire inviato al martirio. In epoca angioina nella tribuna, sprovvista di coro, si aprivano, come abbiamo accennato, quattro cappelle di proprietà di quattro importanti famiglie napoletane: i Petrucci, i Palmieri, i Catalano e gli Arcamone passate poi ad altre famiglie, così come la cappella di San Lorenzo che si apriva all’altezza del lato destro dell’altare in cui si conservava una preziosa reliquia donata da Giovanna I alla chiesa. Il cappellone destro, invece, dedicato a San Pietro Martire si presenta da un punto di vista architettonico-decorativo il più interessante ed integro degli spazi della chiesa, infatti, conserva ancora intatta la decorazione seicentesca anche se ha subito alcuni restauri nel XVIII e XIX secolo. Sull’altare è la tela documentata di G. Imparato raffigurante II martirio di San Pietro da Verona, a sinistra, sovrastante una porticina finemente decorata da colonne sorreggenti una cornice in marmi policromi commessi, è un dipinto del Mercurio raffigurante San Pietro Martire col Crocifìsso databile intorno al 1663; a destra, sovrastante una seconda porta che reca alla sacrestia, è il dipinto raffigurante San Pietro Martire calunniato sempre dello stesso autore, così come La Maddalena, a sinistra, e Santa Caterina da Siena, a destra, tele che sovrastano la grande cona. In alto, a coronamento di questa stupenda “macchina” decorativa, è il bassorilievo raffigurante la Madonna con il bambino attribuibile ad uno scultore dell’ambito di Santacroce. A sinistra del cappellone è il sarcofago di Cristoforo de Costanzo del 1367, la cui fronte ripete la tipica iconografia del monumento funebre del XIV secolo con Cristo fra la Vergine e San Giovanni. Parte di un monumento più complesso ed articolato, l’opera, racconta il Galante, si trovava nel mezzo della tribuna. Secondo lo studioso, Cristoforo de Costanzo, siniscalco imperiale, aveva fatto erigere a sue spese la tribuna e la cupola della chiesa ed i padri riuscirono a dissuadere Alfonso I d’Aragona, che voleva che suo fratello Pietro avesse lì la sepoltura, per lasciar posto, in quel luogo, unicamente al de Costanzo. Di fronte, invece, è il Sepolcro di Antonio De Gennaro, noto giureconsulto napoletano. Il De Dominici ben descriveva l’opera, assai articolata, e la dispersione dei suoi pezzi avvenuta nell’arco di molti anni. Già nel 1623, l’autore della Historia della famiglia De Gennaro indicava come appartenenti al monumento la Giustizia e la Prudenza oggi nella cappella ai lati dell’altare. Ad esso appartiene, probabilmente, anche il San Matteo, oggi sul lavabo dell’antisagrestia. Della settima cappella a destra, adibita a vano d’accesso, sono stati portati alla luce nel 1953 gli elementi architettonici della struttura rinascimentale; in essa, su due alti piedistalli, sono le sculture del monumento De Gennaro di cui si è detto. Interessanti, a sinistra e a destra dell’altare, i frammenti di monumenti funebri in marmo, comprendenti un’iscrizione, due stemmi e parte di un sarcofago. Si tratta dei resti dei due monumenti funerari, quelli a sinistra di Isabella di Chiaromonte, moglie di Ferdinando I d’Aragona, e di Pietro, fratello di Alfonso I, morto nell’assedio di Napoli del 1439, quello a destra di Beatrice d’Aragona , figlia di Ferdinando I; tutti erano posti un tempo, nella tribuna della Chiesa. Sull’altare in marmi commessi, disegnato da Bartolomeo Granucci nel 1725, nella cappella successiva, erano incastonati ai lati della cona i quindici Misteri del Rosario, oggi in deposito, eseguiti nel 1717 su rame da Giacomo del Po, contemporaneamente alla tela sull’altare, raffigurante La Madonna del Rosario, anch’essa in deposito. Nella quinta cappella di destra, dedicata un tempo a Sant’Andrea e poi allo Spirito Santo, sulla parete di fondo rimane oggi, dell’antico altare cinquecentesco, una cornice formata da due lesene decorate a grottesche sorreggenti un timpano con due stemmi ed una cuspide dove è un rilievo raffigurante il Salvator Mundi. L’opera fu eseguita nel 1500 da Jacopo della Pila. Al centro era il trittico, del 1501, oggi in deposito, raffigurante La Madonna di Loreto e i Santi Vincenzo e Leonardo; nella lunetta appaiono i Santi Matteo e Sebastiano che adorano la Trinità.. Di notevole interesse è sulla parete destra il monumento sepolcrale della famiglia Di Gaeta, i cui massimi esponenti Carlo ed Otofredo furono al seguito di Ladislao, Giovanna II ed Alfonso I d’Aragona. I tre busti del sepolcro furono eseguiti con ogni probabilità da Andrea Falcone, artista napoletano attivo nella seconda metà del XVII secolo. Continuando si accede alla quarta cappella, consacrata a Sant’ Antonino da Firenze che fu Priore di questo monastero; di Gerolamo Cenatiempo sono i dipinti sull’altare e sulle pareti, firmati e datati 1722, raffiguranti Le storie ed i miracoli di Sant’Antonino. La tavola, tutt’oggi visibile nella cappella successiva, è attribuibile al Santafede e raffigura la Madonna con il Bambino tra i Santi Bartolomeo e Giovanni Evangelista. Di notevole interesse è, sulla parete sinistra il Monumento Villani eseguito, secondo recenti studi, da Silla da Viggiù (1602). Le opere conservate nella penultima cappella della chiesa sono andate tutte distrutte durante l’ultimo conflitto mondiale. La prima cappella a destra, invece, fondata nel 1356 dalle ottine popolari di Porto, Caputo, Loggia e San Pietro è dedicata alla Vergine Incoronata. In essa, sulla parete sinistra era collocata la tavola, oggi in deposito, del XV secolo, raffigurante l’Incoronazione della Vergine tra i Santi Maddalena, Giovanni Battista, Nicola e Caterina d’Alessandria. Sulla parete destra è posto il bassorilievo raffigurante La Vergine col bambino in trono che incorona i fedeli oranti,opera di alto livello artistico eseguita da un ignoto seguace di Giovanni e Pacio Bertini, scultori di fama nel XIV secolo a Napoli.

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